venerdì 23 agosto 2013

Se i cani corrono liberi, perchè i bambini no?



“ Se i cani corrono liberi, perché noi no?”  questo il ritornello di una vecchia canzone di Dylan, in genere al cane si associa il concetto di fedeltà, non di libertà e infatti l'immagine mi era sempre sembrata  un po’ bislacca, almeno fintanto che non ho letto il  regolamento del mio condominio.
“ se i cani possono correre liberi nel cortile di casa mia perché mio figlio no?” mi verrebbe da parafrasare.
Infatti questa magna carta dei condomini padri fondatori   vieta di fatto il gioco ai bambini in cortile, ma cani e gatti possono liberamente usufruire degli  spazi condominiali, androni compresi .
AI fanciulli invece  è vietato l’uso  a fine ludico dei giardini, androni, scale,  passi carrai e viottoli  e  se per caso il gioco dei bambini  ( che a questo punto è ammesso solo nello spazio aereo sovrastante il cortile)  infastidisse per qualsivoglia motivo e in qualunque momento  l’augusta persona di qualche adulto,  tale attività deve immediatamente cessare ( pena l’abbattimento immediato mi verrebbe da aggiungere)
Ora tutto ciò non è stato stilato per amore degli animali, ma per orrore dei  bambini.  Devo dire , la cosa  ha scarsi riflessi pratici, anche perché  ormai la normativa sul tema è abbastanza chiara, e fortunatamente alcuni comuni ( Torino e Milano ad esempio) hanno ribadito con specifica ordinanza che proibire ai bambini di giocare in cortile è illegale.

Rimane però  l’amaro in bocca per questa deriva erodiana di cui la storia del mio condominio ne è  illustre esempio, se Novara è una delle città italiane con l’età media  più alta  un motivo c’è.
Purtroppo sembra che  i  Novaresi  da  almeno da vent’anni si siano preoccupati più della loro vecchiaia che del loro futuro.

Meno male  che, nonostante tutto,  il vociare anarchico di quei pochi  bambini nei parchi e nei cortili ci ricorda che il domani esiste ancora.

giovedì 22 agosto 2013

1- E Misha disse....

“l’Eden sta bruciando preparatevi all'eliminazione o i vostri cuori dovranno avere il coraggio per  il cambio della guardia”. 
Questi i versi della canzone di Dylan che mi accompagnavano quella notte, la notte prima di incontrare mio figlio. 
L’eden della vita fatta di comunicati stampa, cuba libre, musei, narghilè,  post, snorkeling, cenette e viaggi  stava per cambiare profondamente. Partire alla volta della città degli astronauti,  nel cuore del più grande impero morente  per sapere chi sarebbe stato mio figlio. 
L’attesa di quell’evento era una sentimento che  ti faceva  tendere tutti i muscoli dell’anima, era la vigilia del nostro personalissimo  Natale.
E poi ti vidi dietro quel  vetro, lo sguardo curioso, carico di speranza  e paura,  un’espressione  furba  su un volto da cherubino. 
Ci guardammo così la prima volta, le manine e il viso che premevano su quel vetro che ti divideva, ancora per poco, dal tuo futuro.
 E venne il giorno in cui ti consegnarono a noi e noi  divenimmo una famiglia.
Un  corpo da passerotto,  sandaletti  da mercato rionale, un occhietto nero frutto di chissà quale improbabile acrobazia con chissà quale oggetto che  ti era venuto a mano , immagini che mai potrò dimenticare;  poi il tuo desiderio di felicità esplose come un tifone, spingendo le vele delle nostre vite  con una forza  per noi sconosciuta, tirando il sartiame della nostra esperienza  con quella energia  scatenata e  instancabile delle tua emotività. 
Le nostre giornate divennero improvvisamente  tutte importanti , di un’importanza , per lo meno per me , non consueta. La tua voglia di vita, di crescere si impose come una locomotiva sul treno dei nostri giorni . 
Tu e il tuo incanto per il mondo, quel mondo che prima avevi conosciuto in un’ altra lingua e  solo in poche scomode rate, ora non solo si squadernava di fronte ai tuoi occhi di cielo, ma dovevi   pure leggerlo  in fretta per recuperare tuti gli anni che la vita ti aveva ingiustamente tolto.
E un anno è passato quando arrivasti a noi con l’occhietto nero.
E Misha disse alla mamma:  “ a ma allora io sono il figlio del destino”.  
Misha io direi della  Provvidenza e nel giorno del nostro compleanno ( tuo. di mamma e mio) rubando i versi al bardo pavano  ti augurerei ,
 “Vola tu dove io vorrei volare,
dove c’è un mondo ancora tutto da fare
 e tutto,  o quasi tutto, da sbagliare”


I marziani? vengono da Brera


A fine ottocento  Giovanni Schiapparelli,  direttore dell’osservatorio astronomico di Brera  fu  artefice di numerosi  studi su Marte.  
A causa dei limiti della strumentazione ottocentesca  e  per un fenomeno ottico ,  il buon  Schiapparelli,  in perfetta buona fede e perizia scientifica, vide la superficie del pianeta rosso  solcata da linee che si incrociavano fra loro, linee che lui definì  “canali”.
Tutto nacque proprio dal termine “canale” parola che faceva appunto pensare a qualche provetto ingegnere marziano e quindi a una vita intelligente su Marte. La discussione si aprì intensa  e articolata in ben 3 tomi dal 1893 al 1909. Toccò poi allo statunitense Percival Lowell, riprendendo  Schiapparelli , a dare fiato alle trombe in contesto  internazionale. 
La cosa poi  si chiarì e  la scienza con la luce della ragione respinse l’invasione dei marziani dai libri di astronomia, ma questi oramai avevano occupato  l’immaginario popolare e nessuno da lì avrebbe più scacciati.
In epoca moderna  fu forse questa  la prima volta che Milano fece sognare il mondo globale, prima ancora della moda e delle modelle, dei  designer, del Milan e dell’Inter.
Ma non solo Marte, il  volo fu il sogno collettivo della prima metà del 900. Fu voglia di evasione? Problemi di traffico? Necessità di conciliare vita e lavoro con spostamenti rapidi? Non si sa , ma il fatto rimane che la prima donna italiana, e l’ottava nel mondo, a volare fu proprio milanese.
E proprio quella dell’immaginazione, del sogno, della fantasia , rimane  probabilmente  la cifra milanese un po’ sottotono oggi, occultata dalla finanza, dallo spread,  dai mercati globali, dalla Milano del fare, dalla Milano da bere. Chi mai definirebbe oggi  Milano la città del sogno? Eppure, almeno per l’Italia, Milano, anche dopo Schiapparelli, divenne  il porto intermodale dell’immaginario.  
Persino il mitico Thor , lo stupefacente Uomo Ragno, i fantastici 4  e i loro colleghi della Marvel  hanno dovuto prendere il tram e fare scalo in Viale Romagna presso gli uffici della compianta Editoriale Corno.
Asimov, Dick, Bradbury  tutti arrivati nel bel paese grazie a Urania,  della milanesissima Mondadori, e anche il rude “Conan il barbaro” ha dovuto riporre l’ascia bipenne e bussare alle porte dell’Editrice Nord, all’epoca in via Rubens , per immigrare in Italia .
Senza contare chi dice di vivere a Londra, ma è nato a Milano come il bonelliano Dylan Dog,  per non parlare di Martyn Mystere , Natan Never etc.
E anche gli sbilenchi e improbabili supercriminali di Alan Ford, millantati newyorkesi , hanno  in realtà radici e pedigree in case di ringhiera , in fabbriche di Sesto San Giovanni  degli anni 60.
Primo fra tutti Super Ciuck ispirato al portinaio, “semper ciuck”, di Luciano Secchi, autore appunto di Alan Ford.  Superciuck  spazzino di belle di speranze e maniaco dell’ordine, mentre ramazzava la strada presso una fabbrica di vino , fu  investito da un getto di vino adulterato e  assunse i  “superpoteri” alcolici ( fiatata micidiale, forza  e brio).  Novello crociato dell’ordine,  Superciuck, in maschera cappa, pancera e scarpe da tennis  usa i suoi poteri  per rubare ai poveri, che sporcano, per poi donare la refurtiva ai pulitissimi ricchi. Povero Superciuck ,venisse a Milano oggi forse avrebbe qualche crisi di identità.
Si è vero anche Satanik e Diabolik, nonostante le desinenza in k sono meneghini,  metafore imprenditive di quella voglia di “rubare”, con eleganza e calza maglia, mercati  alle ben più blasonate economie nord europee e statunitensi

Si perché in fondo  il tema del sogno, dell’avventura  non è poi troppo distante da quello del pensare l’impresa,  l’immaginazione da quello del progettare e quindi del fare.  Fellini una volta disse  a Tonino Guerra “ricordati sopra il  pensiero, sopra  di tutto….  c’è l’immaginazione..”